lunedì 30 gennaio 2012

NONLUOGO


Uno dei testi imprescindibili nella carriera di uno studente in architettura in Italia è il testo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, di Marc Augé. Non un architetto o un urbanista, ma un etnologo ed antropologo francese. Si tratta dell'analisi e della critica di quegli spazi tipici della nostra contemporaneità, privi di una propria identità e di una propria funzione organica nel tessuto territoriale e sociale. Spazi alienanti come le autostrade, aeroporti o centri commerciali. In perenne gara a chi "ce l'ha più grosso" [no, non sono parole di Augé; nda].
Tuttavia non può sfuggire che non luoghi stanno divenendo ampi spazi delle nostre città, inseguendo un modello funzionale alle dinamiche del cosiddetto libero mercato, originario degli Stati Uniti e diffusosi nei quattro angoli del pianeta.
Passeggiando una domenica pomeriggio dal quartiere di Spitalfields, al margine orientale della City di Londra, per raggiungere il Museo di Londra, nei pressi della cattedrale di Saint Paul, quanto descritto nel saggio di Augé hanno preso vita intorno a me.
Lasciata alle spalle la stazione di Liverpool Street si entra in un mondo spettrale, il traffico leggero scorre rapidamente, in attraversamento. Dove i rari pedoni si muovo in fretta, come stessero percorrendo una landa desolata, tra il punto A ed il punto B del loro cammino. In una città dove si può far la spesa anche a Capodanno, gli esercizi commerciali sono chiusi, molti sin dal sabato: dalle innumerevoli catene della ristorazione ai negozi di abbigliamento e di cancelleria. Un deserto commerciale che forse solo a Natale o durante una bufera di neve si può vedere. Tutto intorno enormi edifici destinati al terziario, versione post-moderna e luccicante delle catene di montaggio, inesorabilmente vuoti, inutili, tristi. Alla città come luogo della vita, del lavoro e della cultura il capitalismo nella versione post Guerra Fredda ha sostituito una versione giganteggiante, con i suoi grattacieli, degli anonimi ed insipidi business park, i nuovi insediamenti a vocazione terziaria che spuntano come funghi nelle periferie e nei piccoli centri di provincia, tra un capannone industriale e l'ennesimo centro commerciale. Paradossalmente il quartiere londinese che già nel nome dovrebbe racchiudere l'essenza della città, la City, è divenuto l'emblema dell'alienazione funzionale al modello capitalista.
Rompere con il neoliberismo, con un modello che vuole la società impostata intorno al profitto e gli esseri umani come semplici accessori, strumenti per la produzione del profitto, significa anche riacquistare i nostri spazi, come luoghi di relazione e di produzione della cultura. Alle fandonie sul progresso identificato con la zonizzazione, cioè la separazione di aree destinate ad assolvere una sola funzione (produzione, consumo, riposo possibilmente senza creare legami di solidarietà con il prossimo) deve esser contrapposto un modello di città imperniato sull'essere umano, in cui gli spazi siano orientati alla promozione delle relazioni sociali e della cultura.