mercoledì 26 giugno 2013

Cambio di casa - sempre resistenti

Da parecchie settimane non appaiono piú nuovi post in questo blog. Ció é dovuto al fatto che Resistenza Internazionale, di cui Territori in Movimento é uno spazio di approfondimento che riguarda il territorio, l'ambiente, l'attivismo locale, si é spostato su un'altra piattaforma ed ha cambiato veste grafica:

http://resistenzainternazionale.wordpress.com/

A questo indirizzo troverete alcuni degli articoli dell'archivio di Territori in Movimento e molto altro.

In queste settimane sono accadute molte cose in Italia, in Europa e nel mondo.

Da un mese Istanbul e la Turchia sono scossi da quotidiane manifestazioni che si oppongono alla cammino autoritario preso dal governo turco e alle politiche di gestione del territorio che hanno sostituito parchi e quartieri storici con grattacieli e centri commerciali, in un connubio tra islamismo e turbocapitalismo molto frequente in Medio Oriente.

A metá giugno, inoltre, nelle principali cittá brasiliane migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il rincaro del biglietto dei mezzi di trasporto collettivo. Nel giro di pochi giorni la protesta si é allargata ad altri temi quali i servizi pubblici, innanzitutto sanitá ed istruzione, e la partecipazione democratica ai processi decisionali, in un Paese dove si sono spesi milioni di dollari in nuove infrastrutture sportive in vista dei Mondiali di Calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016.

Buona lettura.
Simone Rossi

lunedì 15 aprile 2013

Politiche antipopolari e solidarietà di classe in Londra
Di Simone Rossi 


Nell’attuazione della visione liberista di una società di proprietari, nel 1980 il primo governo conservatore guidato da Margaret Thatcher introdusse una legge per incentivare l’acquisto di abitazioni di edilizia popolare da parte dei locatari, introducendo sconti ed agevolazioni. Sebbene già in precedenza alcune amministrazioni locali avessero ceduto alcune proprietà negli anni precedenti al ‘80, la maggior parte delle unità residenziali popolari rimaneva in mano pubblica, arrivando a coprire oltre la metà degli immobili esistenti. Dal 1980 al 2010 circa un milione e quattrocentomila abitazioni sono state cedute senza che esse siano state adeguatamente rimpiazzate investendo i capitali raccolti con la vendita degli immobili. Contrariamente alle politiche adottate nei primi trent’anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, i governi conservatori e laburisti succedutisi dal 1979 ad oggi hanno preferito lasciare che fosse il cosiddetto libero mercato a provvedere alle esigenze abitative dei cittadini o sotto forma di immobili privati destinati all’acquisto ed alla locazione o tramite il ricorso ad enti di diritto privato, come le Housing Association, formalmente senza fini lucrativi, che tuttavia si rivolgono alla fascia medio - bassa della popolazione, senza supplire alla carenza di offerta per i più poveri.
Dopo una crisi del settore immobiliare all’inizio degli anni ’90, il “mercato” ha prodotto una bolla di carattere speculativo, legata a quella del settore finanziario tramite l’erogazione di mutui e prestiti “facili”, che ha reso l’acquisto o la locazione nel settore privato via via meno accessibile agli individui ed alle famiglie a reddito basso o prive di reddito da lavoro. Sino a poco tempo fa l’esistenza di un sistema di sussidi e sostegni ai più bisognosi ha evitato l’esplosione dell’emergenza casa, tuttavia i cambiamenti recentemente introdotti dall’Esecutivo a guida liberal-conservatrice ne pongono i presupposti. Non solo il Governo ha posto un tetto ai sussidi, rendendo estremamente difficile se non impossibile vivere in alcune aree delle grandi città e nelle regioni rurali più ricche, ma ha introdotto una norma per cui i nuclei familiari che occupano abitazioni con un numero di vani superiore a quanto definito come “sufficiente” dallo Stato saranno penalizzati con tagli ai sussidi. Tutto ciò senza offrire una valida alternativa, dal momento che in molte aree si riscontra una carenza di unità abitative di piccole dimensioni e gli enti pubblici non investono né prevedono di investire nella edificazione di nuove residenze per far fronte alla carenza.

Da circa tre anni risiedo in un complesso residenziale in cui poco meno della metà delle unità sono state cedute a privati, mentre il resto rimane nelle disponibilità della municipalità di Wandsworth, in Londra. Come prassi comune negli ultimi tre decenni, l’amministrazione del complesso è stata affidata dall’ente locale ad una cooperativa di residenti, cui è destinata una somma di denaro per la manutenzione degli edifici e degli spazi comuni. Di fronte ai primi effetti dei cambiamenti in atto ed alla complice passività del municipio, la cooperativa è divenuta il luogo di solidarietà e di resistenza alle politiche inique del Governo. Il Direttivo della cooperativa ha iniziato ad attivarsi per informare i residenti e per renderli consapevoli dei propri diritti di fronte ad atti di vero e proprio terrorismo psicologico cui alcuni di loro sono sottoposti nel momento in cui ricevono telefonate che intimano loro di trasferirsi altrove se occupano un’abitazione considerata “troppo grande” rispetto alle dimensioni del nucleo familiare. Inoltre si approntano spazi per offrire supporto a coloro che non dispongono dell’accesso ad Internet, sia per mancanza di risorse economiche sia per una carenza di conoscenze informatiche basiche, dal momento che molti dei servizi saranno progressivamente trasferiti su supporto informatico. Consapevoli della propria impotenza di fronte all’apparato dello Stato e della debolezza culturale dell’opposizione laburista, più attenta agli umori della classe media e della stampa “perbene”, i residenti più attivi del rione mettono in atto i meccanismi della solidarietà di classe per ridurre il danno e per impedire che la comunità di cui fanno parte sia smembrata. Agli occhi dei fanatici di una modernità che sa di antico ed a quelli dei riformisti tutto ciò può sembrare sorpassato; tuttavia si tratta dello spirito che nel secolo scorso ha portato alla costruzione dello stato sociale, di una società più giusta e democratica. Auspicabilmente questi esempi di solidarietà si moltiplicheranno e permetteranno l’affermarsi di un modello culturale nuovo.

giovedì 21 febbraio 2013

Palazzinari e riformisti. Un'attrazione fatale.
Di Simone Rossi 

Il turista che visita Londra rimane spesso impressionato dalla quantità di cantieri edili aperti; nonostante la disoccupazione sia a livelli storici, il potere d'acquisto dei lavoratori sia andato calando, i consumatori e le imprese fatichino ad accedere al credito bancario, il governo centrale operi tagli pesanti alla spesa pubblica, l'orizzonte londinese è costellato di ponteggi e gru, in un'incessante opera edificatoria, il cui apice si raggiunge nella zona centrale, la City of London, e nelle sue propaggini all'interno delle municipalità confinanti, dove sorgono continuamente nuovi edifici a torre, o grattacieli. Un tripudio di edifici architettonicamente autoreferenziali, progettati più con intenti celebrativi dei committenti e degli architetti che non con uno sguardo al tessuto esistente ed alle esigenze della città, dove prevale l'esibizione del lusso sulla funzionalità. I capitali investiti in questi interventi urbani sono prevalentemente di provenienza asiatica, soprattutto dai paesi del Golfo Persico; dopo aver alienato pezzi di industria nazionale e del settore dei servizi, ora tocca al paesaggio londinese. 
By Courtesy of Villy Fink Isaksen/Commons/CC-BY-SA-3.0
Sulla copertina dell'inserto G2 del quotidiano britannico The Guardian, il 12 febbraio scorso, campeggiava una foto di uno scorcio di Londra con il titolo "Venduto. Come i politici di Sinistra hanno ridefinito lo skyline". L'autore, Owen Hatheley, ha proposto un'analisi del rapporto tra la Sinistra britannica e la foga edificatoria che ha trasformato e continua a modificare l'aspetto urbano delle principali città britanniche, partendo dalla contestazione che, almeno per quanto concerne Londra, lo stimolo alla corrente ondata di interventi urbani è provenuto durante l'amministrazione di Ken Livingstone, espressione dell'ala progressista del Partito Laburista. Secondo Hartheley, il cambiamento nell'approccio dei Laburisti all'architettura ed alla pianificazione urbana ebbe inizio durante gli anni del governo Thatcher, quando i poteri ed i margini di autonomia degli enti locali furono progressivamente ridotti a favore dell'esecutivo, impedendo alle amministrazioni cittadine di investire in edilizia popolare ed assecondando lo sviluppo urbano delle principali città alle esigenze ed agli appetiti del settore privato. Un primo passo fu la pubblicazione del manifesto "A New London" a firma di Richard Rogers, architetto di fama mondiale e progressista, e di Mark Fisher, responsabile cultura del Partito Laburista, in cui si indicavano i Paesi Bassi, Parigi e Barcellona come modelli di progettazione urbana e di linguaggi architettonici cui ispirare la rigenerazione della capitale britannica e delle altre principali città. In questa maniera la dirigenza laburista degli ultimi venti anni ha pensato di poter coniugare le esigenze della collettività con le ambizioni del settore edile, ponendo vincoli e requisiti ai costruttori. Tuttavia, coerentemente con debolezza caratteristica dei partiti riformisti di fronte alle pretese del capitale, gli enti locali ed il governo nazionale a guida laburista a cavallo tra il XX ed il XXI secolo non hanno saputo vincolar e sfruttare a vantaggio della collettività la fase di espansione edilizia di quegli anni. A riprova di ciò Hartheley cita la fallimentare politica per la casa adottata dal sindaco londinese Livingstone (2000-2008), imperniata sul vincolo per cui ogni nuovo intervento di edilizia avrebbe dovuto includere 40% di unità a costi accessibili per le fasce più deboli. Con accessibili, tuttavia, a si possono definire prezzi immobiliari fino al 80% del valore di mercato, di fatto escludendo dalla possibilità di acquisto le famiglie con redditi medio-bassi. A fronte della crescita della bolla immobiliare, dell'alienazione degli immobili pubblici esistenti e degli investimenti pressoché nulli in nuova edilizia popolare, la presunta ingenuità di Livingston e dei laburisti in generale ha contribuito ad accelerare quel processo di lunga durata che, sotto il nome di gentrificazione, comporta la progressiva espulsione delle classi popolari dalle zone centrali e da quelle di prestigio di Londra.

Ad aggravare la situazione sono intervenute le elezioni dei conservatori alla guida della città metropolitana di Londra, nel 2008, e del governo nazionale, nel 2010. Mentre il sindaco londinese in carica, Johnson, rendeva il tetto del 40% di edilizia accessibile non vincolante, a beneficio dei capitalisti fondiari e degli speculatori, l'Esecutivo guidato da Cameron ha posto un tetto mensile ai sussidi per l'affitto, di fatto rendendo difficoltoso se non impossibile per le famiglie prive di reddito o a basso reddito poter risiedere in ampie zone delle città britanniche, dove gli affitti sono cresciuti impetuosamente nell'ultimo decennio ed hanno conosciuto un balzo dopo la crisi, dal momento in cui molte famiglie hanno dovuto orientarsi sugli immobili in affitto non potendo ottenere un mutuo, avendo le banche ristretto il credito. Conseguentemente, a fianco dei grattacieli svettanti e luccicanti o delle infrastrutture olimpiche, la cronaca quotidiana riporta di amministrazioni locali che considerano la deportazione, per chiamare le cose con il proprio nome, dei cittadini riceventi i sussidi in quartieri o città dove si possa garantire loro un tetto a buon mercato.

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venerdì 12 ottobre 2012

Sull'uso e l'abuso della parole populismo e democrazia
Di Simone Rossi 

Nel film Palombella Rossa (1989) Michele Apicella, interpretato da Nanni Moreti, sbotta in "Come parla?! Le parole sono importanti! " di fronte al linguaggio ricco di espressioni idiomatiche e termini stranieri. Una domanda più che legittima nella cosiddetta era della comunicazione, in cui i fatti competono con l'onnipresente propaganda mirata a consolidare il pensiero unico e le ėlite che vi si appoggiano.

Confermando i sondaggi e le analisi pre-elettorali, Hugo Chávez ha ottenuto un terzo mandato alla Presidenza della Repubblica venezuelana. Con disappunto di quelle forze economico-sociali interne ed esterne al paese che avrebbero voluto porre fine all'esperienza del Socialismo del XXI, avviata quasi tre lustri fa. Un'esperienza ed una vittoria elettorale che sono imperniate sulla costruzione di un modello economico in cui lo stato gioca un ruolo primario nel controllo delle risorse e nella redistribuzione della ricchezza, in opposizione ad un passato che vedeva un'oligarchia ricca a fianco di larghe fasce della popolazione in povertà e senza accesso a servizi come sanità ed istruzione. Non mancano le ombre in un sistema fortemente dipendente dalla produzione e dall'esportazione del petrolio, in cui persistono inflazione, corruzione e criminalità violenta, per stessa ammissione del rieletto presidente. Sufficiente, per i detrattori, a decretare il fallimento del modello; il che suona ridicolo quando tali commenti provengo dal Nord del mondo, entrato in una lunga recessione ed avviato su una china che lo porta verso standard da Terzo Mondo dopo tre decenni consecutivi di politiche neoliberiste. Se il modello è fallimentare, il largo sostegno alla figura che lo incarna più di tutti non ha senso, a meno che non si denigrino gli elettori come immaturi, proni ai canti delle sirene populiste, o si bolli il governo dittatura, passando in cavalleria i fatti e la loro interpretazione. Ecco quindi che nella vulgata tanto dei destrorsi quando dei cosiddetti riformisti il 55% dei voti espressi per Chávez, un distacco di oltre dieci punti sul principale sfidante ed un incremento di un milione e mezzo dei consensi rispetto alla tornata precedente rappresentano una sconfitta del dittatore populista, un indice del crescente supporto verso l'opposizione, naturalmente democratica in quanto funzionale agli interessi occidentali. Ecco, dunque, le accuse di brogli, nonostante i vari osservatori internazionali presenti non ne abbiano riscontrati e l'ex presidente statunitense Jimmy Carter abbia definito il modello elettorale venezuelano uno dei più democratici. Infine, ecco giustificare la scelta di otto milioni di elettori con il clientelismo, lo scambio del sostegno politico con l'offerta di sanità ed istruzione pubbliche e gratuite, con i piani di edilizia popolare, con i progetti di assistenza sociale. Eppure, il modello di stato sociale europeo del secondo dopoguerra che si basava sull'universalità e la gratuità dell'istruzione, nonchė su ampi piani di edilizia pubblica, fu implementato prevalentemente da governi moderati o conservatori, sempre elevati a baluardo della democrazia e della libertà contro il pericolo della dittatura rossa. In tutti i paesi occidentali le promulgazione delle leggi elettorali è appannaggio dei parlamenti, che privilegiano la riproduzione delle forze dominanti, introducendo limiti e vincoli che orientano l'elettorato a sostenere i partiti con maggiore visibilità sui mezzi di comunicazione o modellando i collegi in modo da dar maggiore peso ad una parte piuttosto che ad un'altra, come stanno tentando di fare i Conservatori nel Regno Unito o hanno fatto alcuni governatori negli Stati Uniti; senza scomodare il voto di scambio e le collusioni mafiose in Italia, o il controverso caso del voto presidenziale in Florida nel 2000, cancellato dalle cronache e dalla memoria collettiva con un colpo di spugna.

Ordunque, dov'è la democrazia? Cosa è la democrazia una volta estrapolatala dal vocabolario? Attualmente è un semplice strumento di propaganda, con cui giustificare guerre ed osteggiare ogni forma di alternativa al sistema dominante; è opportuno riappropriarcene, riempire la parola dei contenuti di partecipazione popolare, attiva, che le dovrebbero esser propri. Sarebbe un primo passo verso quella rivoluzione culturale che non può che essere il preludio ad un cambio verso altro dal capitalismo.


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domenica 23 settembre 2012

Uniti si vince. Sui minatori sudafricani e boliviani
Di Simone Rossi 

A metà agosto i lavoratori della miniera Lonmin nei pressi di Marikana in Sud Africa ebbero notevole spazio sui mezzi di informazione a seguito degli scontri con le forze di polizia, durante i quali ci furono oltre quaranta morti ed almeno settantotto feriti. I bassi salari e le condizioni di lavoro erano stati la causa scatenante dello sciopero iniziato ai primi di quel mese; tuttavia, come da abitudine, la notizia non fu stimolo per approfondire ed analizzare sui media a grande diffusione relativamente alla situazione sociale nel Sud Africa contemporaneo e, placato il clamore suscitato dalle violenze tra scioperanti e forze di polizia, non si è saputo più molto. Lo sciopero è proseguito per circa sei settimane, fino a che il 19 settembre la proprietà ha accordato aumenti salariali del 20%; con scene di giubilo per le strade da parte dei lavoratori, che a breve riprenderanno la produzione. Tramite l'azione unitaria i minatori della Lonmin hanno ottenuto il miglioramento delle condizioni generali di lavoro ed alcune concessioni a richieste specifiche volte ad un miglioramento delle condizioni lavorative, fungendo da esempio per gli altri lavoratori del settore, in un paese dove la fine dell'apartheid ha allargato gli spazi di agibilità democratica alla popolazione nera ma non ha democratizzato la redistribuzione della ricchezza. Il caso della miniera Lomin non è isolato e non riguarda solo i lavoratori del settore minerario; tuttavia il fronte caldo è quello dei minatori, che da settimane marciano in segno di protesta e scioperano per richiedere aumenti salariali che adeguino le paghe al costo della vita. La risposta padronale è stata sinora violenta, imperniata sul ricatto dei licenziamenti di massa o sul ricorso alle forze di polizia il cui compito di mantenere l’ordine spesso coincide con la tutela delle aziende minerarie. A fronte della situazione, il presidente Jacob Zuma, del partito ANC di cui Mandela fu leader, ha invocato l'uso dell'esercito, come nei casi di emergenza, trovando l'opposizione non solo dei lavoratori ma anche del sindacato Cosatu e rischiando di alienarsi la propria base elettorale, sempre più insofferente di fronte alle politiche neoliberista del dopo-apartheid. 

In questi stessi giorni, dall'altra parte dell'Atlantico, in Bolivia, la divisione tra lavoratori del settore minerario ha lasciato sul campo un morto e forti tensioni tra i minatori, gettando oscure ombre sul processo di riappropriazione delle risorse del sottosuolo da parte del popolo boliviano tramite le nazionalizzazioni nel settore. Lo scontro è avvenuto nelle strade di La Paz, durante un corteo dei dipendenti cooperativa che lavorano presso la miniera Colquiri, nazionalizzata lo scorso giugno dal governo socialista di Evo Morales. Costoro, durante un corteo nella capitale La Paz si sono scagliati contro la sede del sindacato minerario, che rappresenta una grande fetta dei minatori dipendenti della società statale proprietaria della miniera, gettando candelotti di dinamite contro l’edificio e uccidendo Héctor Choque. Si tratta dell’ultimo episodio in cui sono sfociate le tensioni tra minatori iniziate ad agosto e che hanno visto i minatori sindacalizzati occupare una parte della miniera per impedire ai colleghi della cooperativa di potervi accedere. La ragion del contendere è lo sfruttamento di alcuni giacimenti molto ricchi che, secondo i dipendenti dell’azienda di Stato, sarebbero stati loro attribuiti dal governo tramite accordi, successivamente non rispettati, lasciando la nazionalizzazione della miniera incompleta. Successivamente agli scontri di La Paz il governo nazionale ha richiesto una tregua di quarantotto ore ed ha riaperto un dialogo con i rappresentanti della cooperativa per trovare una soluzione di compromesso o un eventuale trasferimento dei minatori “indipendenti” presso un altro giacimento. Il rischio, non remoto in questa nuova fase di manovre statunitensi nell’America Latina, è che la divisione dei minatori e le animate proteste non producano alcun esito positivo per alcuna delle due parti e portino maggior consenso a quelle forze politiche che negli anni ’80 e ’90 svendettero le risorse nazionali alle imprese straniere.  
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martedì 24 luglio 2012

Le mani sulla città
Di Simone Rossi 

L'orologio su Trafalgar Square segna tre giorni all'appuntamento. La torcia olimpica sta percorrendo le strade londinesi tirate a lucido per l'occasione; essa è preceduta da un corteo di sponsor, i veri protagonisti di un evento in cui lo sport è la classica foglia di fico. Si tratta di un fenomeno ormai consolidato, non certo peculiare dei Giochi del 2012, ma che conosce un "salto di qualità" in questa città dove alla privatizzazione di settori industriali e delle aziende di servizi è seguita una colonizzazione dello spazio pubblico; ecco quindi che allo stadio con il nome di una compagnia aerea, il logo di una azienda telefonica affibbiato ad una sala per concerti, sono seguiti le piste ciclabili marchiate con i colori ed il nome di un istituto bancario e l'immagine di nuova linea di trasporto pubblico, la funicolare che scavalca il Tamigi nei pressi di Greenwich, svenduta alla compagnia aerea di cui sopra. Va da sé che all'opera di accaparramento non sono sfuggite le olimpiadi, con il loro forte impatto mediatico; non solo i loghi delle compagnie sponsor dei giochi appariranno ovunque negli impianti sportivi e nelle trasmissioni televisive dedicate ai giochi, ma avranno un diritto di esclusiva garantito da una legge dello stato emanata ad hoc. Un diritto che impedirà agli esercizi commerciali delle zone limitrofe alle aree olimpiche di beneficiare del ritorno di immagine per attrarre nuova clientela o, nei casi estremi, di impedire l'accesso agli impianti a coloro che indosseranno abbigliamento con il logo di aziende concorrenti a quelle che sponsorizzano i giochi. Lo spazio pubblico, lo spirito olimpico preso in ostaggio di un manipolo di multinazionali, meritevoli di contribuire finanziariamente con una quota di circa il 7% al costo di svolgimento delle Olimpiadi; meno di quanto speso dal contribuente britannico, la legge a tutela del cui godimento dello sport senza l'impaccio della pubblicità non è pervenuta. In questi giorni di trepidante attesa, un'altra fiaccola percorre le strade del regno. Si tratta della Poverty Olympic Torch, la torcia simbolo della campagna lanciata inizialmente a Vancouver in occasione selle Olimpiadi Invernali per sensibilizzare sull'altra faccia della medaglia di un evento luccicante e mediatico, che lascia intorno a sé esclusione ed emarginazione. La torcia ha percorso alcune delle aree più marginali del Regno Unito ed ora porta la propria luce nelle pieghe dei quartieri olimpici dove i milioni di investimenti in opere edilizie non sono arrivati e non sono state tirate le mani di lucido ad uso e consumo dei media e dei turisti. Stante i presupposti e le incertezze sulla destinazione post olimpica di alcune aree, l'intervento di rigenerazione e di sviluppo urbano innescato dai giochi molto probabilmente non beneficherà la gran parte degli abitanti della zona orientale della città. Se da un lato la valle del fiume Lea, un tempo estremamente inquinata, è stata bonificata e resa fruibile alla cittadinanza, dall'altro centinaia di famiglie sono state espropriate, con indennizzo, nelle aree limitrofe il parco olimpico, per far spazio al villaggio degli atleti e ad uno dei più grandi centri commerciali d'Europa, con tanto di casinò e di hotel di lusso. Una scelta che rende impermeabile l'area olimpica al rione popolare di Stratford, dove paradossalmente alcuni impianti sportivi di quartiere sono stati chiusi per mancanza di fondi e che implicitamente conferma che ancora una volta questo carrozzone è "cosa loro". 
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domenica 13 maggio 2012

Pulizia sociale e lotta di classe a Londra.
Di Simone Rossi 


When the shit hit the fan (lett. quando la merda colpisce il ventilatore), dicono gli inglesi per indicare che i nodi di un problema vengono al pettine. In meno di due anni in cui è stata al governo del Regno Unito sono molti i nodi venuti al pettine della coalizione Liberal-Conservatrice. Uno più imbarazzante dell'altro, ma tutti sintomo di che pasta sia fatta la classe dominante, ricca e corporativa, e del divario che la separa dalla massa di chi vive del proprio lavoro. A fine aprile fece notizia la decisione dell'amministrazione di Newham, municipio della zona orientale di Londra, di ricollocare alcune centinaia di famiglie in attesa di un alloggio popolare a Stoke-on-Trent, duecento chilometri più a nord. In seguito al clamore della notizia, il sindaco di Newham, il laburista Robin Wales, ha dichiarato di aver voluto innanzitutto lanciare una provocazione in modo da rendere evidente le difficoltà in cui versano i comuni e le contee in materia di edilizia residenziale a basso costo. Provocazione o meno, l’amministrazione locale ha preso contatto con alcuni enti locali ed alcune cooperative che forniscono alloggi a canone calmierato per valutare il trasferimento di 500 famiglie fuori da Newham; quella di Stoke è apparsa l'opzione più conveniente. Di certo non per coloro che saranno deportati, che oltre a subire lo sradicamento dal proprio contesto dovranno rinunciare ai propri impieghi in Londra. Non sarebbe neanche conveniente per la contea di Staffordshire, dove si trova Stoke-on-Trent, che vedrà un improvviso incremento della popolazione, nella fascia più bassa, con tutte le conseguenze sul rapporto tra domanda ed offerta di impiego e sulla spesa sociale pubblica. Tuttavia il caso di Newham non è isolato; con meno clamore mediatico, soluzioni analoghe sembrano esser state valutate o già adottate da altre municipalità londinesi, prevalentemente guidate da maggioranze conservatrici, come ad esempio Westminster, luogo dove in passato ci sono stati "esperimenti" di alterazione della composizione sociale, a fini elettorali. La motivazione addotta dagli enti locali è solitamente quella dei tagli ai sussidi di sostegno all'affitto introdotti dall'attuale governo. Introdotti per supplire alla crescente carenza di alloggi popolari, conseguente all'alienazione di parte del patrimonio esistente non rinnovato con nuove edificazioni, i sussidi permettono di coprire parzialmente o totalmente il costo di un affitto. Tuttavia dall’inizio del 2012 sono stati introdotti tetti massimi che, di fatto, rendono impossibile l'accesso ad un alloggio nei grandi centri urbani, dove più facilmente trova impiego la manodopera a basso reddito. Ciò è accentuato in Londra, in cui la difficoltà ad ottenere mutui ha spinto i nuclei familiari verso la locazione e dove l'avvicinarsi delle prossime Olimpiadi ha dato impulso ad una crescita dei valori degli immobili, in particolare nei quartieri orientali, quelli più popolari. All'annuncio dell'imposizione del tetto ci furono alcune voci, tra cui il periodico italiano Aurora, che misero in guardia dal rischio di un'espansione dei poveri dal centro delle grandi città, Londra per prima, in una riedizione di quanto accadde con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico da parte del governo conservatore di M. Thatcher. In meno di due anni la previsione si è avverata, con i primi vagiti di una pulizia sociale degli spazi urbani; a smentita di chi fa di tutto per convincerci che la lotta di classe sia un fatto superato. Nel gioco delle tre scimmiette che ha permesso l'implementazione di queste politiche senza grande opposizione hanno avuto un ruolo importante alcuni mezzi di informazione; in particolare i tabloid, come The Sun della famiglia Murdoch, che negli anni hanno pubblicato storie come quella di una famiglia di rifugiati che percepiva un sussidio di £36,000 annue per un appartamento in una zona centrale e prestigiosa di Londra. Storia che nello specifico si rivelò una bufala, ma che è entrata nella vox populi, ad animare quel vigliacco conflitto tra la piccola borghesia, che si sente defraudata, e gli ultimi nella società. Divide et impera. Funziona sempre.



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