Il turista che visita Londra rimane spesso impressionato dalla quantità di cantieri edili aperti; nonostante la disoccupazione sia a livelli storici, il potere d'acquisto dei lavoratori sia andato calando, i consumatori e le imprese fatichino ad accedere al credito bancario, il governo centrale operi tagli pesanti alla spesa pubblica, l'orizzonte londinese è costellato di ponteggi e gru, in un'incessante opera edificatoria, il cui apice si raggiunge nella zona centrale, la City of London, e nelle sue propaggini all'interno delle municipalità confinanti, dove sorgono continuamente nuovi edifici a torre, o grattacieli. Un tripudio di edifici architettonicamente autoreferenziali, progettati più con intenti celebrativi dei committenti e degli architetti che non con uno sguardo al tessuto esistente ed alle esigenze della città, dove prevale l'esibizione del lusso sulla funzionalità. I capitali investiti in questi interventi urbani sono prevalentemente di provenienza asiatica, soprattutto dai paesi del Golfo Persico; dopo aver alienato pezzi di industria nazionale e del settore dei servizi, ora tocca al paesaggio londinese.
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By Courtesy of Villy Fink Isaksen/Commons/CC-BY-SA-3.0 |
Sulla copertina dell'inserto G2 del quotidiano britannico The Guardian, il 12 febbraio scorso, campeggiava una foto di uno scorcio di Londra con il titolo "Venduto. Come i politici di Sinistra hanno ridefinito lo skyline". L'autore, Owen Hatheley, ha proposto un'analisi del rapporto tra la Sinistra britannica e la foga edificatoria che ha trasformato e continua a modificare l'aspetto urbano delle principali città britanniche, partendo dalla contestazione che, almeno per quanto concerne Londra, lo stimolo alla corrente ondata di interventi urbani è provenuto durante l'amministrazione di Ken Livingstone, espressione dell'ala progressista del Partito Laburista. Secondo Hartheley, il cambiamento nell'approccio dei Laburisti all'architettura ed alla pianificazione urbana ebbe inizio durante gli anni del governo Thatcher, quando i poteri ed i margini di autonomia degli enti locali furono progressivamente ridotti a favore dell'esecutivo, impedendo alle amministrazioni cittadine di investire in edilizia popolare ed assecondando lo sviluppo urbano delle principali città alle esigenze ed agli appetiti del settore privato. Un primo passo fu la pubblicazione del manifesto "A New London" a firma di Richard Rogers, architetto di fama mondiale e progressista, e di Mark Fisher, responsabile cultura del Partito Laburista, in cui si indicavano i Paesi Bassi, Parigi e Barcellona come modelli di progettazione urbana e di linguaggi architettonici cui ispirare la rigenerazione della capitale britannica e delle altre principali città. In questa maniera la dirigenza laburista degli ultimi venti anni ha pensato di poter coniugare le esigenze della collettività con le ambizioni del settore edile, ponendo vincoli e requisiti ai costruttori. Tuttavia, coerentemente con debolezza caratteristica dei partiti riformisti di fronte alle pretese del capitale, gli enti locali ed il governo nazionale a guida laburista a cavallo tra il XX ed il XXI secolo non hanno saputo vincolar e sfruttare a vantaggio della collettività la fase di espansione edilizia di quegli anni. A riprova di ciò Hartheley cita la fallimentare politica per la casa adottata dal sindaco londinese Livingstone (2000-2008), imperniata sul vincolo per cui ogni nuovo intervento di edilizia avrebbe dovuto includere 40% di unità a costi accessibili per le fasce più deboli. Con accessibili, tuttavia, a si possono definire prezzi immobiliari fino al 80% del valore di mercato, di fatto escludendo dalla possibilità di acquisto le famiglie con redditi medio-bassi. A fronte della crescita della bolla immobiliare, dell'alienazione degli immobili pubblici esistenti e degli investimenti pressoché nulli in nuova edilizia popolare, la presunta ingenuità di Livingston e dei laburisti in generale ha contribuito ad accelerare quel processo di lunga durata che, sotto il nome di gentrificazione, comporta la progressiva espulsione delle classi popolari dalle zone centrali e da quelle di prestigio di Londra.
Ad aggravare la situazione sono intervenute le elezioni dei conservatori alla guida della città metropolitana di Londra, nel 2008, e del governo nazionale, nel 2010. Mentre il sindaco londinese in carica, Johnson, rendeva il tetto del 40% di edilizia accessibile non vincolante, a beneficio dei capitalisti fondiari e degli speculatori, l'Esecutivo guidato da Cameron ha posto un tetto mensile ai sussidi per l'affitto, di fatto rendendo difficoltoso se non impossibile per le famiglie prive di reddito o a basso reddito poter risiedere in ampie zone delle città britanniche, dove gli affitti sono cresciuti impetuosamente nell'ultimo decennio ed hanno conosciuto un balzo dopo la crisi, dal momento in cui molte famiglie hanno dovuto orientarsi sugli immobili in affitto non potendo ottenere un mutuo, avendo le banche ristretto il credito. Conseguentemente, a fianco dei grattacieli svettanti e luccicanti o delle infrastrutture olimpiche, la cronaca quotidiana riporta di amministrazioni locali che considerano la deportazione, per chiamare le cose con il proprio nome, dei cittadini riceventi i sussidi in quartieri o città dove si possa garantire loro un tetto a buon mercato.
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E' un pezzo molto interessante secondo me. Lo condivido in larga parte anche se a me, la skyline della city piace molto e penso che un restyling architettonico, per quanto autocelebrativo, possa avere un impatto anche positivo sull'immaginario collettivo. E però ha ragione Simone - questo non può NON essere accompagnato da una ridefinizione degli spazi abitativi in senso più democratico, mentre quello che si è fatto è una gentryfication di Central London. Inaccettabile.
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