venerdì 12 ottobre 2012

Sull'uso e l'abuso della parole populismo e democrazia
Di Simone Rossi 

Nel film Palombella Rossa (1989) Michele Apicella, interpretato da Nanni Moreti, sbotta in "Come parla?! Le parole sono importanti! " di fronte al linguaggio ricco di espressioni idiomatiche e termini stranieri. Una domanda più che legittima nella cosiddetta era della comunicazione, in cui i fatti competono con l'onnipresente propaganda mirata a consolidare il pensiero unico e le ėlite che vi si appoggiano.

Confermando i sondaggi e le analisi pre-elettorali, Hugo Chávez ha ottenuto un terzo mandato alla Presidenza della Repubblica venezuelana. Con disappunto di quelle forze economico-sociali interne ed esterne al paese che avrebbero voluto porre fine all'esperienza del Socialismo del XXI, avviata quasi tre lustri fa. Un'esperienza ed una vittoria elettorale che sono imperniate sulla costruzione di un modello economico in cui lo stato gioca un ruolo primario nel controllo delle risorse e nella redistribuzione della ricchezza, in opposizione ad un passato che vedeva un'oligarchia ricca a fianco di larghe fasce della popolazione in povertà e senza accesso a servizi come sanità ed istruzione. Non mancano le ombre in un sistema fortemente dipendente dalla produzione e dall'esportazione del petrolio, in cui persistono inflazione, corruzione e criminalità violenta, per stessa ammissione del rieletto presidente. Sufficiente, per i detrattori, a decretare il fallimento del modello; il che suona ridicolo quando tali commenti provengo dal Nord del mondo, entrato in una lunga recessione ed avviato su una china che lo porta verso standard da Terzo Mondo dopo tre decenni consecutivi di politiche neoliberiste. Se il modello è fallimentare, il largo sostegno alla figura che lo incarna più di tutti non ha senso, a meno che non si denigrino gli elettori come immaturi, proni ai canti delle sirene populiste, o si bolli il governo dittatura, passando in cavalleria i fatti e la loro interpretazione. Ecco quindi che nella vulgata tanto dei destrorsi quando dei cosiddetti riformisti il 55% dei voti espressi per Chávez, un distacco di oltre dieci punti sul principale sfidante ed un incremento di un milione e mezzo dei consensi rispetto alla tornata precedente rappresentano una sconfitta del dittatore populista, un indice del crescente supporto verso l'opposizione, naturalmente democratica in quanto funzionale agli interessi occidentali. Ecco, dunque, le accuse di brogli, nonostante i vari osservatori internazionali presenti non ne abbiano riscontrati e l'ex presidente statunitense Jimmy Carter abbia definito il modello elettorale venezuelano uno dei più democratici. Infine, ecco giustificare la scelta di otto milioni di elettori con il clientelismo, lo scambio del sostegno politico con l'offerta di sanità ed istruzione pubbliche e gratuite, con i piani di edilizia popolare, con i progetti di assistenza sociale. Eppure, il modello di stato sociale europeo del secondo dopoguerra che si basava sull'universalità e la gratuità dell'istruzione, nonchė su ampi piani di edilizia pubblica, fu implementato prevalentemente da governi moderati o conservatori, sempre elevati a baluardo della democrazia e della libertà contro il pericolo della dittatura rossa. In tutti i paesi occidentali le promulgazione delle leggi elettorali è appannaggio dei parlamenti, che privilegiano la riproduzione delle forze dominanti, introducendo limiti e vincoli che orientano l'elettorato a sostenere i partiti con maggiore visibilità sui mezzi di comunicazione o modellando i collegi in modo da dar maggiore peso ad una parte piuttosto che ad un'altra, come stanno tentando di fare i Conservatori nel Regno Unito o hanno fatto alcuni governatori negli Stati Uniti; senza scomodare il voto di scambio e le collusioni mafiose in Italia, o il controverso caso del voto presidenziale in Florida nel 2000, cancellato dalle cronache e dalla memoria collettiva con un colpo di spugna.

Ordunque, dov'è la democrazia? Cosa è la democrazia una volta estrapolatala dal vocabolario? Attualmente è un semplice strumento di propaganda, con cui giustificare guerre ed osteggiare ogni forma di alternativa al sistema dominante; è opportuno riappropriarcene, riempire la parola dei contenuti di partecipazione popolare, attiva, che le dovrebbero esser propri. Sarebbe un primo passo verso quella rivoluzione culturale che non può che essere il preludio ad un cambio verso altro dal capitalismo.


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domenica 23 settembre 2012

Uniti si vince. Sui minatori sudafricani e boliviani
Di Simone Rossi 

A metà agosto i lavoratori della miniera Lonmin nei pressi di Marikana in Sud Africa ebbero notevole spazio sui mezzi di informazione a seguito degli scontri con le forze di polizia, durante i quali ci furono oltre quaranta morti ed almeno settantotto feriti. I bassi salari e le condizioni di lavoro erano stati la causa scatenante dello sciopero iniziato ai primi di quel mese; tuttavia, come da abitudine, la notizia non fu stimolo per approfondire ed analizzare sui media a grande diffusione relativamente alla situazione sociale nel Sud Africa contemporaneo e, placato il clamore suscitato dalle violenze tra scioperanti e forze di polizia, non si è saputo più molto. Lo sciopero è proseguito per circa sei settimane, fino a che il 19 settembre la proprietà ha accordato aumenti salariali del 20%; con scene di giubilo per le strade da parte dei lavoratori, che a breve riprenderanno la produzione. Tramite l'azione unitaria i minatori della Lonmin hanno ottenuto il miglioramento delle condizioni generali di lavoro ed alcune concessioni a richieste specifiche volte ad un miglioramento delle condizioni lavorative, fungendo da esempio per gli altri lavoratori del settore, in un paese dove la fine dell'apartheid ha allargato gli spazi di agibilità democratica alla popolazione nera ma non ha democratizzato la redistribuzione della ricchezza. Il caso della miniera Lomin non è isolato e non riguarda solo i lavoratori del settore minerario; tuttavia il fronte caldo è quello dei minatori, che da settimane marciano in segno di protesta e scioperano per richiedere aumenti salariali che adeguino le paghe al costo della vita. La risposta padronale è stata sinora violenta, imperniata sul ricatto dei licenziamenti di massa o sul ricorso alle forze di polizia il cui compito di mantenere l’ordine spesso coincide con la tutela delle aziende minerarie. A fronte della situazione, il presidente Jacob Zuma, del partito ANC di cui Mandela fu leader, ha invocato l'uso dell'esercito, come nei casi di emergenza, trovando l'opposizione non solo dei lavoratori ma anche del sindacato Cosatu e rischiando di alienarsi la propria base elettorale, sempre più insofferente di fronte alle politiche neoliberista del dopo-apartheid. 

In questi stessi giorni, dall'altra parte dell'Atlantico, in Bolivia, la divisione tra lavoratori del settore minerario ha lasciato sul campo un morto e forti tensioni tra i minatori, gettando oscure ombre sul processo di riappropriazione delle risorse del sottosuolo da parte del popolo boliviano tramite le nazionalizzazioni nel settore. Lo scontro è avvenuto nelle strade di La Paz, durante un corteo dei dipendenti cooperativa che lavorano presso la miniera Colquiri, nazionalizzata lo scorso giugno dal governo socialista di Evo Morales. Costoro, durante un corteo nella capitale La Paz si sono scagliati contro la sede del sindacato minerario, che rappresenta una grande fetta dei minatori dipendenti della società statale proprietaria della miniera, gettando candelotti di dinamite contro l’edificio e uccidendo Héctor Choque. Si tratta dell’ultimo episodio in cui sono sfociate le tensioni tra minatori iniziate ad agosto e che hanno visto i minatori sindacalizzati occupare una parte della miniera per impedire ai colleghi della cooperativa di potervi accedere. La ragion del contendere è lo sfruttamento di alcuni giacimenti molto ricchi che, secondo i dipendenti dell’azienda di Stato, sarebbero stati loro attribuiti dal governo tramite accordi, successivamente non rispettati, lasciando la nazionalizzazione della miniera incompleta. Successivamente agli scontri di La Paz il governo nazionale ha richiesto una tregua di quarantotto ore ed ha riaperto un dialogo con i rappresentanti della cooperativa per trovare una soluzione di compromesso o un eventuale trasferimento dei minatori “indipendenti” presso un altro giacimento. Il rischio, non remoto in questa nuova fase di manovre statunitensi nell’America Latina, è che la divisione dei minatori e le animate proteste non producano alcun esito positivo per alcuna delle due parti e portino maggior consenso a quelle forze politiche che negli anni ’80 e ’90 svendettero le risorse nazionali alle imprese straniere.  
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martedì 24 luglio 2012

Le mani sulla città
Di Simone Rossi 

L'orologio su Trafalgar Square segna tre giorni all'appuntamento. La torcia olimpica sta percorrendo le strade londinesi tirate a lucido per l'occasione; essa è preceduta da un corteo di sponsor, i veri protagonisti di un evento in cui lo sport è la classica foglia di fico. Si tratta di un fenomeno ormai consolidato, non certo peculiare dei Giochi del 2012, ma che conosce un "salto di qualità" in questa città dove alla privatizzazione di settori industriali e delle aziende di servizi è seguita una colonizzazione dello spazio pubblico; ecco quindi che allo stadio con il nome di una compagnia aerea, il logo di una azienda telefonica affibbiato ad una sala per concerti, sono seguiti le piste ciclabili marchiate con i colori ed il nome di un istituto bancario e l'immagine di nuova linea di trasporto pubblico, la funicolare che scavalca il Tamigi nei pressi di Greenwich, svenduta alla compagnia aerea di cui sopra. Va da sé che all'opera di accaparramento non sono sfuggite le olimpiadi, con il loro forte impatto mediatico; non solo i loghi delle compagnie sponsor dei giochi appariranno ovunque negli impianti sportivi e nelle trasmissioni televisive dedicate ai giochi, ma avranno un diritto di esclusiva garantito da una legge dello stato emanata ad hoc. Un diritto che impedirà agli esercizi commerciali delle zone limitrofe alle aree olimpiche di beneficiare del ritorno di immagine per attrarre nuova clientela o, nei casi estremi, di impedire l'accesso agli impianti a coloro che indosseranno abbigliamento con il logo di aziende concorrenti a quelle che sponsorizzano i giochi. Lo spazio pubblico, lo spirito olimpico preso in ostaggio di un manipolo di multinazionali, meritevoli di contribuire finanziariamente con una quota di circa il 7% al costo di svolgimento delle Olimpiadi; meno di quanto speso dal contribuente britannico, la legge a tutela del cui godimento dello sport senza l'impaccio della pubblicità non è pervenuta. In questi giorni di trepidante attesa, un'altra fiaccola percorre le strade del regno. Si tratta della Poverty Olympic Torch, la torcia simbolo della campagna lanciata inizialmente a Vancouver in occasione selle Olimpiadi Invernali per sensibilizzare sull'altra faccia della medaglia di un evento luccicante e mediatico, che lascia intorno a sé esclusione ed emarginazione. La torcia ha percorso alcune delle aree più marginali del Regno Unito ed ora porta la propria luce nelle pieghe dei quartieri olimpici dove i milioni di investimenti in opere edilizie non sono arrivati e non sono state tirate le mani di lucido ad uso e consumo dei media e dei turisti. Stante i presupposti e le incertezze sulla destinazione post olimpica di alcune aree, l'intervento di rigenerazione e di sviluppo urbano innescato dai giochi molto probabilmente non beneficherà la gran parte degli abitanti della zona orientale della città. Se da un lato la valle del fiume Lea, un tempo estremamente inquinata, è stata bonificata e resa fruibile alla cittadinanza, dall'altro centinaia di famiglie sono state espropriate, con indennizzo, nelle aree limitrofe il parco olimpico, per far spazio al villaggio degli atleti e ad uno dei più grandi centri commerciali d'Europa, con tanto di casinò e di hotel di lusso. Una scelta che rende impermeabile l'area olimpica al rione popolare di Stratford, dove paradossalmente alcuni impianti sportivi di quartiere sono stati chiusi per mancanza di fondi e che implicitamente conferma che ancora una volta questo carrozzone è "cosa loro". 
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domenica 13 maggio 2012

Pulizia sociale e lotta di classe a Londra.
Di Simone Rossi 


When the shit hit the fan (lett. quando la merda colpisce il ventilatore), dicono gli inglesi per indicare che i nodi di un problema vengono al pettine. In meno di due anni in cui è stata al governo del Regno Unito sono molti i nodi venuti al pettine della coalizione Liberal-Conservatrice. Uno più imbarazzante dell'altro, ma tutti sintomo di che pasta sia fatta la classe dominante, ricca e corporativa, e del divario che la separa dalla massa di chi vive del proprio lavoro. A fine aprile fece notizia la decisione dell'amministrazione di Newham, municipio della zona orientale di Londra, di ricollocare alcune centinaia di famiglie in attesa di un alloggio popolare a Stoke-on-Trent, duecento chilometri più a nord. In seguito al clamore della notizia, il sindaco di Newham, il laburista Robin Wales, ha dichiarato di aver voluto innanzitutto lanciare una provocazione in modo da rendere evidente le difficoltà in cui versano i comuni e le contee in materia di edilizia residenziale a basso costo. Provocazione o meno, l’amministrazione locale ha preso contatto con alcuni enti locali ed alcune cooperative che forniscono alloggi a canone calmierato per valutare il trasferimento di 500 famiglie fuori da Newham; quella di Stoke è apparsa l'opzione più conveniente. Di certo non per coloro che saranno deportati, che oltre a subire lo sradicamento dal proprio contesto dovranno rinunciare ai propri impieghi in Londra. Non sarebbe neanche conveniente per la contea di Staffordshire, dove si trova Stoke-on-Trent, che vedrà un improvviso incremento della popolazione, nella fascia più bassa, con tutte le conseguenze sul rapporto tra domanda ed offerta di impiego e sulla spesa sociale pubblica. Tuttavia il caso di Newham non è isolato; con meno clamore mediatico, soluzioni analoghe sembrano esser state valutate o già adottate da altre municipalità londinesi, prevalentemente guidate da maggioranze conservatrici, come ad esempio Westminster, luogo dove in passato ci sono stati "esperimenti" di alterazione della composizione sociale, a fini elettorali. La motivazione addotta dagli enti locali è solitamente quella dei tagli ai sussidi di sostegno all'affitto introdotti dall'attuale governo. Introdotti per supplire alla crescente carenza di alloggi popolari, conseguente all'alienazione di parte del patrimonio esistente non rinnovato con nuove edificazioni, i sussidi permettono di coprire parzialmente o totalmente il costo di un affitto. Tuttavia dall’inizio del 2012 sono stati introdotti tetti massimi che, di fatto, rendono impossibile l'accesso ad un alloggio nei grandi centri urbani, dove più facilmente trova impiego la manodopera a basso reddito. Ciò è accentuato in Londra, in cui la difficoltà ad ottenere mutui ha spinto i nuclei familiari verso la locazione e dove l'avvicinarsi delle prossime Olimpiadi ha dato impulso ad una crescita dei valori degli immobili, in particolare nei quartieri orientali, quelli più popolari. All'annuncio dell'imposizione del tetto ci furono alcune voci, tra cui il periodico italiano Aurora, che misero in guardia dal rischio di un'espansione dei poveri dal centro delle grandi città, Londra per prima, in una riedizione di quanto accadde con la svendita del patrimonio immobiliare pubblico da parte del governo conservatore di M. Thatcher. In meno di due anni la previsione si è avverata, con i primi vagiti di una pulizia sociale degli spazi urbani; a smentita di chi fa di tutto per convincerci che la lotta di classe sia un fatto superato. Nel gioco delle tre scimmiette che ha permesso l'implementazione di queste politiche senza grande opposizione hanno avuto un ruolo importante alcuni mezzi di informazione; in particolare i tabloid, come The Sun della famiglia Murdoch, che negli anni hanno pubblicato storie come quella di una famiglia di rifugiati che percepiva un sussidio di £36,000 annue per un appartamento in una zona centrale e prestigiosa di Londra. Storia che nello specifico si rivelò una bufala, ma che è entrata nella vox populi, ad animare quel vigliacco conflitto tra la piccola borghesia, che si sente defraudata, e gli ultimi nella società. Divide et impera. Funziona sempre.



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mercoledì 21 marzo 2012

22 marzo 2012. XX Giornata Mondiale dell’Acqua.
Di Simone Rossi 


Il 22 marzo si celebra la XX Giornata Mondiale dell'Acqua (World Water Day) istituita venti anni fa dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite su proposta della Conferenza sull'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED).
Scopo della giornata è portare l'attenzione generale sul tema dell'accesso all'acqua potabile e sulla sua gestione. Ogni anno l'ONU dedica questa data a temi specifici legati all'acqua. Quest'anno la giornata è dedicata a sicurezza alimentare e dell'accesso all'acqua, visti come questioni interconnesse. Infatti, entro la metà del secolo in corso si stima ci saranno nove miliardi di esseri umani sul pianeta, due in più rispetto ad oggi; tale incremento, accompagnato da un mutamento nei consumi alimentari, richiederà la produzione di grandi quantitativi di carne, la cui filiera assorbe ingenti volumi d'acqua, sottraendoli ad altri usi. Senza un'adeguata pianificazione e gestione di questa risorsa vitale, si vedranno vanificati gli sforzi effettuati per conseguire l'Obiettivo del Millennio riguardante l'accesso all'acqua potabile.
La maggior pressione sulle riserve idriche e la minor disponibilità di acqua potabile dovuta ai cambiamenti climatici ed al suo consumo per scopi non alimentari potrà creare tensioni e, probabilmente, conflitti armati se fin d'ora non si introdurranno strumenti di pianificazione e di gestione condivisa. Pertanto, intorno alla pubblicità delle risorse idriche è in atto una lotta che è combattuta tra i sostenitori del modello liberista ed i fautori di un modello economico sostenibile, entrambi coordinati su scala planetaria. Da un lato ci sono le grandi multinazionali che sfruttano l'acqua e dall'altro le comunità locali che reclamano l'acqua come un bene comune, inalienabile in quanto fonte di vita.
Tale lotta mette in evidenza il profondo scollamento tra società civile e le istituzioni che dei cittadini dovrebbero essere i rappresentanti. Infatti, gli eletti nelle istituzioni, i cosiddetti politici si mostrano mediamente indifferenti alle istanze provenienti dal basso, preferendo molto frequentemente la privatizzazione dello sfruttamento (si pensi alle fonti di acqua minerale) e della distribuzione delle risorse idriche, in nome del libero mercato e della concorrenza. In questo orientamento, essi sono assecondati dai mezzi di informazione principali, che sono più propensi a dar spazio alle idee espressione del Pensiero Unico liberista. Si pensi, ad esempio, a quanto accaduto in occasione referendum abrogativo che nel giugno del 2011 ha spinto alle urne oltre il 50% degli aventi diritto, un fatto inusuale per un referendum in Italia. Un referendum la cui campagna è passata sotto il silenzio pilatesco dei grandi quotidiani e di quasi tutte le emittenti televisive nazionali oltre ad aver incontrato l'ostilità dell'Esecutivo e dei due partiti maggioritari nel Parlamento, PdL e PD. Due partiti che ora, cambiato il Governo, sostengono ogni tentativo di affossare l'esito inequivocabile del referendum per procedere con l'introduzione della gestione delle risorse idriche secondo principi aziendalistici, di profitto, nonostante la contraddittoria casistica offerta dalle privatizzazioni già avvenute e quanto indicato dai cittadini con il voto del giugno 2011.


Analogamente, passando ad un scala globale, mentre a Marsiglia si è riunito il forum del Comitato Mondiale dell'Acqua, che riunisce organismi istituzionali che si occupano di risorse idriche con il contributo delle imprese multinazionali operanti nel settore, in cui i cittadini, i comitati ed i movimenti di cittadini che si battono perché l'acqua sia gestita secondo criteri di pubblica utilità, sotto il controllo pubblico, organizzavano un forum alternativo. Le enunciazioni di principio dei due consessi siano analoghi nel riconoscere l'accesso all'acqua come un diritto, tuttavia le strade proposte per garantire universalmente tale diritto non coincidono, divergendo sul ruolo dei cittadini e del potere pubblico nella gestione di queste risorse, così come sull'opportunità di garantire profitti ai gestori. Un ennesimo caso della contrapposizione tra il 99% e l'1% della popolazione mondiale.



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martedì 6 marzo 2012

Il TAV ed i facinorosi. Color blu "Tory".
Di Simone Rossi 


Dopo mesi di relativa calma, si sono scaldati il dibattito ed il clima intorno alla questione linea ferroviaria ad Alta Velocità in Valle di Susa. Nelle scorse settimane assistiamo a marce di protesta, ad occupazioni di terre e strade cui lo Stato risponde con la violenza dei manganelli e delle intimidazioni. Un'estrema manifestazione del concetto di democrazia proprio delle classi dominanti europee.
In circa venti anni di opposizione a questa opera, i comitati di cittadini ed i sindaci dei Comuni interessati hanno prodotto svariati rapporti e documenti che dimostrano la sua inutilità e mettono in evidenza gli effetti negativi che essa avrebbe sul territorio, avvalendosi della collaborazione di esperti e docenti universitari. Per contro, i fautori della nuova ferrovia ricorrono a formule tanto vaghe quanto attraenti per la narrazione scintillante impiegata. Oltre alla sua indimostrata urgenza, costoro ricorrono all'immagine di fantastiche ferrovie Lisbona-Kiev, alla richiesta delle istituzioni europee o, più semplicemente, al paragone con altre nazioni europee, dove, a loro dire, i cittadini non solo non si oppongono ma, anzi, celebrano le nuove linee.
Purtroppo per i ferventi sostenitori del TAV, l'erba del vicino non è sempre così verde. Al contempo, fortunatamente per loro, i maggiori organi di stampa italiani si guardano bene dal raccontarlo.
Il Regno Unito diede i natali alla prima macchina a vapore al mondo e vide la costruzione delle prime ferrovie del pianeta. Dopo oltre un secolo di espansione delle ferrovie e cinquanta anni di tagli alla rete e di privatizzazioni nel dopoguerra, gli ultimi governi, quelli laburisti prima e quello conservatore/liberal-democratico dopo, hanno puntato sul rilancio infrastrutturale delle ferrovie, proponendo la costruzione di una nuova linea dorsale dedicata ai TAV che, in un futuro collegherebbe Londra alla Scozia, con diramazioni verso alcune delle principali città inglesi. Essa andrebbe ad aggiungersi, peraltro senza connettervisi direttamente, ai circa 110km esistenti, tra Londra e l'imbocco del tunnel sotto la Manica nei pressi di Folkestone, entrati in pieno esercizio cinque anni fa. Il primo investimento riguarderà la tratta da Londra a Birmingham, le due principali città britanniche, dove in anni recenti ci sono stati ingenti investimenti per incrementare la capacita della linea storica. Il tracciato di circa 230km attualmente proposto, risultato da successive modifiche che appaiono dettate da calcolo politico ed attività di pressione delle lobby, prevede di collegare la stazione di Londra Euston con un nuovo terminale da realizzarsi nel centro di Birmingham, attraversando aree densamente popolate e le delle Chiltern, una regione collinare relativamente incontaminata. Ministri e deputati sostengono il progetto spiegando che essa sia necessaria per la ripresa economica del Paese, per risolvere problemi di saturazione delle linee esistenti, per recuperare il ritardo tecnologico con il resto dell'Europa Occidentale e che essa produrrà nuovi posti di lavoro, con qualcuno che ha azzardato la cifra di un milione. Senza contare l'allettante promessa di opere compensative da realizzarsi nelle municipalità interessate.
A dispetto di queste premesse, il progetto incontra l'opposizione tanto di alcuni residenti comunità locali coinvolte quanto dei cittadini che obiettano sull'utilità di un'opera costosa che sottrarrà risorse all'adeguamento dei servizi pendolari esistenti ed andrà principalmente a beneficio di una minoranza ristretta della popolazione, prevalentemente uomini d'affari e dirigenti. A ciò si aggiunge la reazione di chi, man mano che il progetto prende forma, vede paventata l'ipotesi di esproprio della propria abitazione o di un proprio terreno senza che il tracciato sia stato sottoposto alla pubblica consultazione, come di solito avviene per opere di interesse pubblico. Difatti, il percorso che in questi giorni sarà presentato come definitivo è frutto di un'elaborazione in cui cittadini e comitati non hanno giocato alcun ruolo.
Come in Italia, negli ultimi anni sono stati costituiti comitati locali, alcuni dei quali si sono riuniti sotto il cappello Stop HS2, dive HS sta per high speed, alta velocità. Oltre a ciò, nell'autunno del 2011 alcuni amministratori locali delle regioni delle West Midlands e delle Chiltern si sono uniti al coro, pur essendo molti di questi esponenti del Partito Conservatore che in queste aree ha uno dei suoi feudi. Il timore espresso da questi amministratori locali riguarda la tutela della principale risorsa della regione: il paesaggio.
A dispetto della propensione, tanto britannica quanto italiana, a porre i cittadini di fronte a proposte e progetti pronti, senza margine per un ampio dibattito pubblico ed argomentato, deve esser riconosciuta alla classe dirigente britannica la volontà non ricorrere allo scontro frontale con chi dissente. Un esempio di sobrietà che potremo proporre a Mario Monti ed ai membri del suo Esecutivo per i corsi di recupero estivi.


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martedì 28 febbraio 2012

Parte la campagna per il censimento del territorio
Di Simone Rossi 


Nonostante il modello economico e sociale liberista reclami di esser divenuto Pensiero Unico dopo il crollo del blocco sovietico ed a fronte dell’apparente dissolvimento del movimento “no global” nato a Seattle nel 1999, l’aspirazione di molti cittadini e cittadine ad un nuovo modello di sviluppo non è venuta meno ed è incanalata in decine di movimenti, campagna e lotte che, occasionalmente sfociano in episodi eclatanti, cui i media non possono non prestare attenzione.
È il caso, ad esempio, del Contratto Mondiale sull’Acqua e, per quanto concerne l’Italia, del Forum Italiano dei movimenti per l’Acqua che hanno promosso la lotta di resistenza alla privatizzazione di uno dei Beni Comuni per eccellenza, l’acqua. Non di rado nell’indifferenza dei media, questi movimenti hanno inserito il famoso granello di sabbia nel meccanismo del sistema, con risultati notevoli come la pubblicizzazione del servizio idrico in Bolivia, il ritorno in mano pubblica delle società di gestione delle acque a Parigi es in altre città francesi e l'esito della consultazione referendaria nel giugno 2011 in Italia.
Sulla scia di quest'ultimo incoraggiante risultato, lo scorso autunno è stato creato il Forum "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori", che riunisce oltre cinquecento organizzazioni, tanto di rango nazionale quanto di portata locale, oltre a tremila singoli cittadini. Come per l'acqua, il forum nasce dalla volontà di difendere un altro Bene Comune fondamentale e limitato: il territorio. Difatti, secondo quanto illustrato in svariati studi e ribadito dal suddetto Forum, negli ultimi cinquanta anni in Italia si è assistito ad una espansione vertiginosa delle aree urbanizzate (6 milioni di ettari in trent'anni), in base a dinamiche di rapina e depredazione del territorio che troppo spesso non rispondono alle reali esigenze della società. Ecco, quindi, l'esigenza di costruire percorsi di opposizione al consumo di suolo vergine, molto spesso coltivabile, che metta i decisori politici di fronte alle proprie responsabilità e diffonda tra la cittadinanza la sensibilità della tutela del paesaggio, un Bene Comune inalienabile e finito.

La prima iniziativa di carattere nazionale promossa dal Forum riguarda la questione degli immobili sfitti, disabitati o improduttivi. Si stima che in Italia ci siano circa 10 milioni di edifici inutilizzati, mentre, per contro, l'attività edificatoria procede a pieno ritmo, a scapito di terre vergini produttive, sottratte all'agricoltura. Assistiamo quindi alla contraddizione di Milano, in cui si sta realizzando il nuovo centro direzionale Garibaldi-Repubblica-Varesine nonostante ci siano migliaia di metri cubi di uffici e residenze vuoti in zona centrale e semi-centrale; o Torino, dove da un decennio il palazzo della RAI nei pressi di Porta Susa è inutilizzato, in attesa di una bonifica dall'amianto, mentre nel contempo Intesa-San Paolo erige il proprio grattacielo a poca distanza. Questa settimana, a partire da lunedì 27 febbraio, il Forum ha lanciato una campagna nazionale per il censimento degli immobili inutilizzati. Con l'aiuto di architetti, urbanisti, amministratori locali ed altri professionisti è stato redatto un formulario che sarà inviato ai Comuni italiani dal comitato nazionale, con un ulteriore sollecito da parte dei cittadini sul territorio, affinché tali enti forniscano dati sul quantitativo di immobili inutilizzati nei propri territori. Questi dati, oltre ad una mappatura del territorio nazionale, consentiranno di assumere un nuovo approccio alla pianificazione del territorio, che valorizzi innanzitutto l'esistente prima di dar spazio a nuovo consumo di territorio.

Maggiori informazioni sul Forum "Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori" e sulle campagne in corso o di prossimo avvio vi rimandiamo alla pagina principale del rispettivo sito.

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lunedì 30 gennaio 2012

NONLUOGO


Uno dei testi imprescindibili nella carriera di uno studente in architettura in Italia è il testo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, di Marc Augé. Non un architetto o un urbanista, ma un etnologo ed antropologo francese. Si tratta dell'analisi e della critica di quegli spazi tipici della nostra contemporaneità, privi di una propria identità e di una propria funzione organica nel tessuto territoriale e sociale. Spazi alienanti come le autostrade, aeroporti o centri commerciali. In perenne gara a chi "ce l'ha più grosso" [no, non sono parole di Augé; nda].
Tuttavia non può sfuggire che non luoghi stanno divenendo ampi spazi delle nostre città, inseguendo un modello funzionale alle dinamiche del cosiddetto libero mercato, originario degli Stati Uniti e diffusosi nei quattro angoli del pianeta.
Passeggiando una domenica pomeriggio dal quartiere di Spitalfields, al margine orientale della City di Londra, per raggiungere il Museo di Londra, nei pressi della cattedrale di Saint Paul, quanto descritto nel saggio di Augé hanno preso vita intorno a me.
Lasciata alle spalle la stazione di Liverpool Street si entra in un mondo spettrale, il traffico leggero scorre rapidamente, in attraversamento. Dove i rari pedoni si muovo in fretta, come stessero percorrendo una landa desolata, tra il punto A ed il punto B del loro cammino. In una città dove si può far la spesa anche a Capodanno, gli esercizi commerciali sono chiusi, molti sin dal sabato: dalle innumerevoli catene della ristorazione ai negozi di abbigliamento e di cancelleria. Un deserto commerciale che forse solo a Natale o durante una bufera di neve si può vedere. Tutto intorno enormi edifici destinati al terziario, versione post-moderna e luccicante delle catene di montaggio, inesorabilmente vuoti, inutili, tristi. Alla città come luogo della vita, del lavoro e della cultura il capitalismo nella versione post Guerra Fredda ha sostituito una versione giganteggiante, con i suoi grattacieli, degli anonimi ed insipidi business park, i nuovi insediamenti a vocazione terziaria che spuntano come funghi nelle periferie e nei piccoli centri di provincia, tra un capannone industriale e l'ennesimo centro commerciale. Paradossalmente il quartiere londinese che già nel nome dovrebbe racchiudere l'essenza della città, la City, è divenuto l'emblema dell'alienazione funzionale al modello capitalista.
Rompere con il neoliberismo, con un modello che vuole la società impostata intorno al profitto e gli esseri umani come semplici accessori, strumenti per la produzione del profitto, significa anche riacquistare i nostri spazi, come luoghi di relazione e di produzione della cultura. Alle fandonie sul progresso identificato con la zonizzazione, cioè la separazione di aree destinate ad assolvere una sola funzione (produzione, consumo, riposo possibilmente senza creare legami di solidarietà con il prossimo) deve esser contrapposto un modello di città imperniato sull'essere umano, in cui gli spazi siano orientati alla promozione delle relazioni sociali e della cultura.