L'orologio su Trafalgar Square segna tre giorni all'appuntamento. La torcia olimpica sta percorrendo le strade londinesi tirate a lucido per l'occasione; essa è preceduta da un corteo di sponsor, i veri protagonisti di un evento in cui lo sport è la classica foglia di fico.
Si tratta di un fenomeno ormai consolidato, non certo peculiare dei Giochi del 2012, ma che conosce un "salto di qualità" in questa città dove alla privatizzazione di settori industriali e delle aziende di servizi è seguita una colonizzazione dello spazio pubblico; ecco quindi che allo stadio con il nome di una compagnia aerea, il logo di una azienda telefonica affibbiato ad una sala per concerti, sono seguiti le piste ciclabili marchiate con i colori ed il nome di un istituto bancario e l'immagine di nuova linea di trasporto pubblico, la funicolare che scavalca il Tamigi nei pressi di Greenwich, svenduta alla compagnia aerea di cui sopra. Va da sé che all'opera di accaparramento non sono sfuggite le olimpiadi, con il loro forte impatto mediatico; non solo i loghi delle compagnie sponsor dei giochi appariranno ovunque negli impianti sportivi e nelle trasmissioni televisive dedicate ai giochi, ma avranno un diritto di esclusiva garantito da una legge dello stato emanata ad hoc. Un diritto che impedirà agli esercizi commerciali delle zone limitrofe alle aree olimpiche di beneficiare del ritorno di immagine per attrarre nuova clientela o, nei casi estremi, di impedire l'accesso agli impianti a coloro che indosseranno abbigliamento con il logo di aziende concorrenti a quelle che sponsorizzano i giochi. Lo spazio pubblico, lo spirito olimpico preso in ostaggio di un manipolo di multinazionali, meritevoli di contribuire finanziariamente con una quota di circa il 7% al costo di svolgimento delle Olimpiadi; meno di quanto speso dal contribuente britannico, la legge a tutela del cui godimento dello sport senza l'impaccio della pubblicità non è pervenuta.
In questi giorni di trepidante attesa, un'altra fiaccola percorre le strade del regno. Si tratta della Poverty Olympic Torch, la torcia simbolo della campagna lanciata inizialmente a Vancouver in occasione selle Olimpiadi Invernali per sensibilizzare sull'altra faccia della medaglia di un evento luccicante e mediatico, che lascia intorno a sé esclusione ed emarginazione. La torcia ha percorso alcune delle aree più marginali del Regno Unito ed ora porta la propria luce nelle pieghe dei quartieri olimpici dove i milioni di investimenti in opere edilizie non sono arrivati e non sono state tirate le mani di lucido ad uso e consumo dei media e dei turisti.
Stante i presupposti e le incertezze sulla destinazione post olimpica di alcune aree, l'intervento di rigenerazione e di sviluppo urbano innescato dai giochi molto probabilmente non beneficherà la gran parte degli abitanti della zona orientale della città. Se da un lato la valle del fiume Lea, un tempo estremamente inquinata, è stata bonificata e resa fruibile alla cittadinanza, dall'altro centinaia di famiglie sono state espropriate, con indennizzo, nelle aree limitrofe il parco olimpico, per far spazio al villaggio degli atleti e ad uno dei più grandi centri commerciali d'Europa, con tanto di casinò e di hotel di lusso. Una scelta che rende impermeabile l'area olimpica al rione popolare di Stratford, dove paradossalmente alcuni impianti sportivi di quartiere sono stati chiusi per mancanza di fondi e che implicitamente conferma che ancora una volta questo carrozzone è "cosa loro".
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